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La resistenza, come la conosciamo in fisica, è l’opposizione di un corpo o di un materiale a farsi cambiare dall’esterno, una sorta di tendenza all’omeostasi. In psicoterapia, questa stessa resistenza si manifesta nella relazione tra il paziente e l’oss, ma in questo caso, il corpo è rappresentato dal paziente stesso e l’esterno è il terapeuta. Questa resistenza può essere percepita come un gradino utile per il cambiamento o come una pietra che fa inciampare e cadere. Nel seguente articolo, esploreremo il concetto di paziente collaborante e non collaborante, evidenziando le diverse tipologie di resistenza al cambiamento e come gli operatori socio sanitari possono affrontarle.
Tipologie di Resistenza al Cambiamento
Il Paziente Collaborativo
Il paziente collaborativo è la persona che ha effettive risorse cognitive ed è motivata al mutamento. Fin dal primo contatto, si mostra non contrario e non denigrante. Si è verificato che la comunicazione che produce le modifiche desiderate più velocemente è di tipo razionale-dimostrativo: a chi richiede il trattamento viene spiegato come si sta procedendo e i possibili effetti di ciò che viene indicato. Bisogna ricordare che questa persona, pur essendo cooperativa, non è un “esperto”, per cui, ogni cosa, deve essere spiegata e deve comprendere ciò che non funziona in modo che possa essere portato verso una forma di mutamento consapevole. Pertanto, l’indicazione è quella di procedere “passo dopo passo” fino al raggiungimento dell’accordo generalizzato. Ovviamente la persona che si rivolge a noi sarà tanto più motivata a seguirci quanto più i risultati sono tangibili ed evidenti. Nelle terapie dirette, invece, la maggior parte delle volte, il paziente viene reso cooperativo. Questo traguardo, di solito segnato dal cambiamento di primo ordine, diviene il punto di partenza e semplifica i successivi cambiamenti che condurranno al cambiamento di secondo ordine.
Chi Vorrebbe Essere Collaborativo Ma Non Può
Questo gruppo di pazienti è caratterizzato da una grande motivazione e dalla necessità di cambiare, ma percepiscono il cambiamento come difficile o si sono arresi al problema. Spesso arrivano in terapia accompagnati da familiari che sono anch’essi vittime della situazione. Questi pazienti capiscono razionalmente cosa dovrebbero fare per cambiare ma faticano a mettere in pratica queste conoscenze. Blocchi emotivo-comportamentali e limitazioni di tipo morale-religioso spesso impediscono loro di agire in modo funzionale. La sensazione di poter cambiare e di evitare la sconfitta può motivare il paziente e renderlo più collaborativo. Nel contesto clinico, si tratta di individui che presentano una “narrativa” di sé stessi completamente distante dalla realtà razionale. Questa forma di resistenza coinvolge soggetti presumibilmente affetti da disturbi psicotici (vale la pena notare che occorre prestare particolare attenzione se si tratta di giovani o adolescenti. Confusione, disorientamento, episodi psicotici, specialmente in questa fase della vita, potrebbero rappresentare fenomeni temporanei. Pertanto, il ripristino delle normali funzioni mentali potrebbe avvenire rapidamente e in modo completo se trattati in modo adeguato, evitando l’etichettatura erronea come psicotici. Rientrano in questa categoria anche persone con sintomi deliranti ormai solidificati nel tempo) e tutte quelle persone che manifestano una rigidità mentale così estrema da impedire loro di allontanarsi dalla propria percezione della realtà e di relazionarsi in modo appropriato con gli altri. Sono individui che si sono isolati, creando regole e strutture personali per un gioco del quale solo loro hanno conoscenza.
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Il Paziente Non Collaborativo o Oppositivo
Questa categoria di individui durante una procedura discreditano, contestano, si ribellano. Non seguono deliberatamente le direttive. I pazienti non collaborativi possono presentarsi in due modi: manifestamente ostili o, in modo più subdolo, nascondendosi dietro una maschera di falsa collaborazione.
Il primo segnale di allarme è una richiesta eccessiva, anche se formulata in modo timido, come risposta alla domanda iniziale (“qual è l’obiettivo della terapia?” o “cosa ti ha portato qui?”). Questo potrebbe rappresentare un modo per opporsi alla terapia. Invece di ristrutturare, il problema o gli obiettivi vengono ridefiniti, evidenziando la loro impossibilità attuale (sarebbe preferibile che il paziente lo comprendesse attraverso il dialogo). Questo costituirebbe il primo passo per evitare la trappola iniziale. Successivamente, se il paziente non segue le istruzioni, anche se si verificano piccoli cambiamenti che potrebbero avvenire durante la sessione o seguendo le prescrizioni relative al cambiamento di prospettiva, le probabilità che non sia collaborativo aumentano.
È importante mantenere un atteggiamento di sospetto e scetticismo per evitare di essere colti di sorpresa. Un oss ingenuo che crede di avere a che fare con una persona disposta a collaborare potrebbe commettere l’errore di cambiare costantemente le istruzioni o di negoziare sui compiti da svolgere. Tuttavia, agendo in questo modo, finirebbe per sostenere il disturbo e, nel migliore dei casi, prolungherebbe i tempi di risoluzione. Altrimenti, se si gioca la carta della resistenza, si creano le condizioni per un rifiuto progressivo, seguito da altri, fino a un abbandono completo: queste modalità si rivelerebbero poco efficaci o screditerebbero il terapeuta.
Solitamente, i pazienti di questo tipo presentano tratti ossessivo-paranoici e depressivi, rientrando nella categoria delle “vittime del mondo” (manifestazioni della depressione). In questi casi, è essenziale persistere, essere direttivi e continuare a prescrivere le istruzioni precedentemente fornite ma non seguite.
In conclusione, la collaborazione tra l’operatore socio sanitario e il paziente è essenziale per un processo terapeutico efficace ed efficiente. Riconoscere e gestire la resistenza al cambiamento è una parte fondamentale di questo processo. Ogni tipo di paziente richiede un approccio diverso per affrontare la sua resistenza, che può variare dalla spiegazione razionale al ricorso a strategie suggestive. L’obiettivo finale è aiutare il paziente a superare le proprie resistenze e intraprendere un percorso di cambiamento consapevole.
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