Stress e cannabis: perché chi è più sotto pressione tende a usarla di più

di Claudia

Lo stress non è solo una sensazione soggettiva. È una condizione biologica che lascia tracce misurabili nel corpo e che può influenzare in modo diretto i comportamenti, compreso il consumo di sostanze. A dimostrarlo è un nuovo studio sperimentale pubblicato su Neuropsychopharmacology, che individua nello stress fisiologico di base il principale fattore predittivo dell’uso ripetuto di cannabis.

Una scoperta che aiuta a capire meglio perché alcune persone sviluppano un rapporto abituale con la sostanza, mentre altre no. E che ha implicazioni concrete per la prevenzione, la salute mentale e il lavoro di cura, soprattutto in una fase storica segnata da livelli di stress sempre più elevati.

Lo studio: quando è il corpo a “chiedere” cannabis

La ricerca è stata condotta dalla Washington State University su un modello animale, con un esperimento durato tre settimane. I ricercatori hanno osservato un gruppo di ratti ai quali veniva data la possibilità di auto-somministrarsi vapori di cannabis attraverso un comportamento appreso, attivabile durante sessioni giornaliere di un’ora.

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Prima e durante l’esperimento, gli animali sono stati sottoposti a una valutazione completa: profili comportamentali, capacità cognitive, risposta alla ricompensa, livelli di attivazione e, soprattutto, livelli di corticosterone, l’ormone che nei ratti equivale al cortisolo umano ed è un indicatore chiave dello stress fisiologico.

Il risultato è stato netto: i ratti con livelli basali più elevati di corticosterone erano quelli che attivavano più spesso il rilascio di cannabis. In altre parole, non era l’esposizione a generare lo stress, ma uno stato di stress preesistente a spingere verso un consumo più frequente.

Non solo stress: il ruolo delle capacità cognitive

Lo studio ha evidenziato anche un secondo fattore importante: la flessibilità cognitiva, cioè la capacità di adattare il proprio comportamento quando cambiano le regole o il contesto.

Gli animali meno flessibili dal punto di vista cognitivo – quelli che facevano più fatica a modificare le proprie strategie decisionali – mostravano una maggiore motivazione all’autosomministrazione di cannabis. Un dato che rafforza l’idea che l’uso ripetuto non dipenda solo dalla sostanza, ma dall’interazione tra stress, funzionamento mentale e capacità di adattamento.

Più deboli, invece, le correlazioni con i livelli di endocannabinoidi endogeni, le sostanze prodotte naturalmente dal nostro organismo. Questo suggerisce che, in alcuni casi, una minore disponibilità di questi composti possa spingere a cercare nel THC una sorta di compensazione funzionale.

Perché questa ricerca riguarda anche gli esseri umani

È vero: lo studio è stato condotto sui ratti. Ma il modello sperimentale è considerato molto utile perché consente di isolare i fattori biologici e comportamentali che negli esseri umani si intrecciano con ambiente, storia personale e contesto sociale.

Secondo gli autori, questi risultati aiutano a identificare marcatori precoci di vulnerabilità: livelli elevati di stress cronico e ridotta flessibilità cognitiva potrebbero indicare una maggiore probabilità di sviluppare schemi di uso abituale.

Un’informazione preziosa in un contesto in cui la cannabis è sempre più accessibile e spesso percepita come una risposta “naturale” a ansia, tensione e affaticamento emotivo.

Implicazioni pratiche: prevenzione, non colpevolizzazione

La notizia è rilevante perché sposta lo sguardo dal giudizio morale alla comprensione dei meccanismi. Se lo stress fisiologico è un motore del consumo, allora prevenire significa prima di tutto intercettare e ridurre lo stress, non limitarsi a demonizzare la sostanza.

Per operatori sanitari, psicologi, educatori e caregiver, questo studio rafforza un messaggio chiave: chi usa cannabis in modo ripetuto potrebbe stare rispondendo a una condizione di sovraccarico biologico ed emotivo, non semplicemente “scegliendo” di farlo.

Intervenire su stress cronico, sonno, condizioni lavorative, isolamento sociale e capacità di coping può essere molto più efficace (e umano) di qualsiasi approccio punitivo.

La ricerca non dice che lo stress “causa” automaticamente l’uso di cannabis. Ma chiarisce una cosa fondamentale: quando il corpo è costantemente in allerta, la ricerca di sollievo diventa più probabile. E ignorarlo significa perdere un’occasione concreta di prevenzione e cura.


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