Mentre l’Italia si concede una pausa per onorare la Festa dei Lavoratori, c’è chi oggi non spegne la sveglia, non indossa abiti comodi né partecipa ai picnic di primavera. Medici, infermieri, Operatori Socio-Sanitari (OSS) e altri professionisti della salute sono, anche oggi, al loro posto: in reparto, in pronto soccorso, nelle RSA, nei servizi domiciliari. Per loro, il 1° maggio non è sinonimo di riposo, ma l’ennesima giornata in trincea.
Nel silenzio ovattato dei corridoi ospedalieri e nei ritmi incessanti delle centrali operative, il lavoro continua. Si assiste, si ascolta, si cura. Mentre il Paese celebra i diritti conquistati, loro ne rivendicano di nuovi: orari sostenibili, sicurezza sul lavoro, riconoscimento economico e professionale. È la sanità che non si ferma, nemmeno quando tutto il resto lo fa.
Il Primo Maggio assume, per loro, un significato duplice. Per chi non è di turno, è l’occasione per unirsi a cortei e voci che chiedono un sistema sanitario più equo e sostenibile. Per chi invece lavora, è la prova tangibile di un impegno che va oltre la professione: è vocazione, è responsabilità, è tenuta in piedi di un sistema troppo spesso trascurato dalle politiche e dall’opinione pubblica.
I lavoratori della sanità non chiedono solo gratitudine, ma scelte concrete. Perché dietro ogni letto assistito anche oggi, ci sono turni saltati, ferie rinviate, famiglie lasciate a casa. C’è la dignità di un mestiere che non conosce festa. Ed è proprio in questa giornata simbolica che dobbiamo guardare a loro con occhi diversi, con rispetto e consapevolezza.
Il Primo Maggio sia allora anche il loro giorno: quello di chi lavora per garantire il diritto alla salute, anche quando i riflettori sono spenti. A loro va il nostro grazie più sincero, e l’auspicio che il loro valore non venga ricordato solo nei giorni di festa, ma ogni giorno dell’anno.